AvellinoL'Opinione

Avellino, un museo della memoria per ricordare le vittime del 14 settembre.

di Ciro Alvino

(Tv7 Avellino) – Sono trascorsi poco meno di 30.000 giorni dall’eccidio di oltre tremila avellinesi, vittime sacrificali del Generale Dwight Eisenhower che chiese, ed ottenne, dal Presidente degli Stati Uniti d’America, di bombardare i ponti sui fiumi della città di Avellino allo scopo di tagliare i rifornimenti alle truppe tedesche in forza ad Ospedaletto d’Alpinolo.

Avellinesi che non immaginavano nemmeno che sarebbero divenuti un bersaglio di bombe da parte degli americani, per ben due volte buttati a mare dai tedeschi, e che, pur di poter sbarcare a Salerno e raggiungere Napoli attraverso l’Irpinia, la presero di mira con stormi di bombardieri che distrussero luoghi centralissimi come Piazza del Popolo, Piazza Libertà, la fiorente Atripalda ed altri Paesi limitrofi.

Di conseguenza Avellino fu catapultata nelle prime pagine della cronaca per il sacrificio umano.

Tuttavia, a distanza di 80 anni, la città non ha ancora un Museo della Memoria che consenta di far rivivere il passato per stimolare i giovani a non dimenticare, a studiare e comprendere l’accaduto e trarne degli insegnamenti per scrivere un futuro all’insegna del decoro, dell’intelligenza, della saggezza, e onorare chi sacrificò la vita in nome di un ideale di libertà, in un mondo, troppo spesso, avvilito e calpestato.

Avevo auspicato la creazione di questo Museo già all’atto della pubblicazione del romanzo “La Gelsa!”

Romanzo volto peraltro a far conoscere la seconda galleria ferroviaria della linea Avellino-Rocchetta Sant’Antonio che accolse nei giorni dei bombardamenti centinaia di persone in preda a una motivata paura e a evidenziare il nobile riscatto di spiriti limpidi e generosi.

Il ricordo va alle Figlie della Carità, che mostrarono, in uno scenario di suprema sofferenza, incomparabili doti di abnegazione e di altruismo; al monsignor Guido Luigi Bentivoglio, al preside dell’Istituto Agrario, ai Padri Domenicani, ai Padri Benedettini del Santuario di Montevergine, ai Frati Cappuccini, al dottor Domenico Laudicina di Trapani, che salvò tante vite umane assumendosi l’impegno e l’onere di dirigere l’ospedale Civile perché il primario si era dato vigliaccamente alla macchia nella campagna di Picarelli; a don Luigi Baratta che in quei giorni infelici sfidò i soldati tedeschi, armato del solo crocifisso, per portare il sostegno della religione cristiana agli agonizzanti e ai feriti, ed a Sabino De Pascale, medaglia d’oro al valore civile, per il coraggio e l’indefessa abnegazione dimostrati quel fatidico martedì 14 settembre 1943, quando, con raro senso civico, rimase nel suo negozio per soccorrere i concittadini elargendo generi e conforti di prima necessità.